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Come alimentare i suini quando i gruppi sono "disomogenei" ?...

La distribuzione dei pesi alla fine dell'ingrasso è la somma di tanti fattori, tra i quali, alcuni di loro non possono essere modificati, oppure, portano con sè costi associati di soluzioni non fattibili... Una parte della variabilità è congenita, associata alla linea genetica materna e del tipo di verro finale...

La variabilità è intrinseca a qualsiasi processo biologico. Tuttavia, il settore carni richiede prodotti omogenei. Soddisfare queste esigenze provoca una problematica nella commercializzazione del suino vivo: preparazione dei carichi, carichi su vari giorni, digiuni multipli, lunghi tempi per lo svuotamento....pratiche che portano ad un aumento dei costi, non sempre facili da quantificare... Ecco perché possiamo dire che la disomogeneità dei suini ha un costo occulto per gli allevatori.

Negli ultimi anni, questa problematica è in aumento, sia per la parte finale della produzione (maggior richiesta di carichi omogenei) sia nella parte iniziale (una maggiore prolificità crea un maggior "ventaglio" dei pesi iniziali dei suinetti). Per cui, sì, è un problema che costa e dovremo essere in grado di risolverlo o di porre possibili soluzioni...

La prima difficoltà consiste nel misurare la variabilità sul peso vivo che abbiamo in allevamento. Non è facile disporre di una base di dati con il peso individuale di tutti i suini dell'allevamento a differenti età, per differenti linee genetiche, protocolli produttivi e status sanitario. Una volta conosciuta la variabilità, ci interessa sapere quali sono le cause; sulle quali possiamo agire e in quale momento, per aumentare l'uniformità o almeno ridurre la variabilità...

Di seguito, vediamo i dettagli della distribuzione dei pesi nelle diverse fasi produttive. Come si osserva, la deviazione standard aumenta con l'età. Quando lo dividiamo per la media, il risultato è che il coefficiente di variazione diminuisce (figura 1). Però, il range dei pesi aumenta considerevolmente (figura 2).

Figura 1. Evoluzione della variabilità del peso, misurata come coefficiente di variazione, con l'età.
Figura 1. Evoluzione della variabilità del peso, misurata come coefficiente di variazione, con l'età.
Figura 2. Distribuzione degli animali in base al peso all'ingresso dello svezzamento. La differenza tra il 5% dei suini con meno peso e il 5% con più peso è di 6 kg.
Figura 2. Distribuzione degli animali in base al peso all'ingresso dello svezzamento. La differenza tra il 5% dei suini con meno peso e il 5% con più peso è di 6 kg.
Figura 3. Distribuzioni dei suini in funzione del peso (kg) a 159 giorni di vita. I 6 kg di differenza tra il  5% dei suini con minor peso ed il  5% con più peso rilevati allo svezzamento (figura 2) sono diventati 30 kg.
Figura 3. Distribuzioni dei suini in funzione del peso (kg) a 159 giorni di vita. I 6 kg di differenza tra il  5% dei suini con minor peso ed il  5% con più peso rilevati allo svezzamento (figura 2) sono diventati 30 kg.

La distribuzione dei pesi alla fine dell'ingrasso è la somma di tanti fattori, tra i quali, alcuni di loro non possono essere modificati oppure portano con sè costi associati di soluzioni non fattibili. Una parte della variabilità è congenita, associata alla linea genetica materna e del tipo di verro finale. La prolificità delle scrofe, il basso peso alla nascita, la categoria di parto, la colostratura, la capacità di produzione di latte e la durata della lattazione, finiscono per segnare la variabilità dei pesi allo svezzamento. Poi, abbiamo la densità dei gruppi nei box, lo spazio alle mangiatoie, lo status sanitario, le condizioni ambientali, ecc..., che possono contribuire a creare ulteriore variabilità in fase di accrescimento. In certi studi, la variabilità allo svezzamento era responsabile per il solo 50% della variabilità finale, e il peso alla nascita contribuiva per il 10%. Allora, questo indica che esistono margini di intervento, sopratutto in determinati momenti ("finestre di opportunità") nella vita produttiva; basicamente: (1) i primi giorni dopo il parto, (2) le prime settimane dopo lo svezzamento e (3) durante il primo mese di ingrasso.

Figura 4. Distribuzione dei pesi all'entrata dell'ingrasso.
Figura 4. Distribuzione dei pesi all'entrata dell'ingrasso.
Figura 5. Distribuzione dei pesi alla fine dell'ingrasso. Il 35% dei suini pesano più di 100 kg, mentre il  10% è al di sotto dei 75 kg.
Figura 5. Distribuzione dei pesi alla fine dell'ingrasso. Il 35% dei suini pesano più di 100 kg, mentre il  10% è al di sotto dei 75 kg.

La realtà è che ad ogni momento convivono in allevamento tantissimi suini molto diversi tra loro, sia per quanto riguarda il peso vivo, la loro capacità di consumo di mangime (CMG) ed accrescimento (IMG). Di conseguenza, sono suini con grandissime differenze di costo di produzione e se fosse possibile misurarle, vedremo che alcuni di loro sono difficilmente economicamente validi.

Figura 6. IMG nei primi 100 giorni di ingrasso in funzione del peso di entrata. Le differenze di peso all'entrata dell'ingrasso si allargano (si moltiplicano per 2). Ogni kg di differenza di peso all'entrata equivale a circa 11 g di IMG.
Figura 6. IMG nei primi 100 giorni di ingrasso in funzione del peso di entrata. Le differenze di peso all'entrata dell'ingrasso si allargano (si moltiplicano per 2). Ogni kg di differenza di peso all'entrata equivale a circa 11 g di IMG.

La figura 7 illustra l'IMG dei percentili dell'allevamento in funzione del loro peso finale. Se confrontiamo i due percentili superiori con i due percentili inferiori, osserviamo che l'IMG è praticamente il doppio nei primi rispetto ai secondi. Alla macellazione, le carcasse dei suini con minori IMG sono molto più magre rispetto a quelli con maggior IMG. Per questo motivo, la variabilità intra-allevamento, è addirittura maggiore o uguale alla variabilità media tra allevamenti diversi, maggiore anche delle differenze medie tra sessi e tra linee genetiche. Ci sono molti studi che spiegano come alimentare i suini separando i sessi, sopratutto tra castrati e non castrati, ma anche tra non castrati e femmine.

Figura 7. Evoluzione del IMG in funzione del peso all'entrata (ogni10%). Alla fine dell'ingrasso tutti hanno avuto un IMG similare, anche se i più grossi raggiungevano il massimo molto prima, avendo meno giorni di permanenza.
Figura 7. Evoluzione del IMG in funzione del peso all'entrata (ogni10%). Alla fine dell'ingrasso tutti hanno avuto un IMG similare, anche se i più grossi raggiungevano il massimo molto prima, avendo meno giorni di permanenza.

E' anche chiaro che i fabbisogni medi di suini magri come per esempio il Pietrain sono molto diversi rispetto ad altre linee genetiche con maggiori CMG e IMG e minor accrescimento di massa magra, tipo Duroc magro o linee sintetiche similari. Tuttavia, nello stesso allevamento alimentiamo uguale tutti i due percentili superiori quanto quelli inferiori, quando è evidente che sono suini con grandissime differenze di CMG e IMG e composizione corporale.

Quindi rispondendo alla domanda iniziale: sappiamo alimentare gruppi di suini disomogenei?... La risposta è no!...

Oggi sappiamo come alimentare i suini medi di una determinata genetica e sesso, una volta caratterizzati i CMG e IMG, deposizione di carne magra e grasso per stimare i fabbisogni (rapporto lisina: energia) per ogni fase produttiva, previa standardizzazione. Sono sfide alla pratica odierna, si potrebbe anche dire che quanto più si affina l'alimentazione di un soggetto della media (alimentazione in multifase con una stima di quantità di kg di mangimi per capo) più si contribuisce a creare variabilità. Per ridurre la variabilità del peso finale, è evidente che la miglior strategia sia massimizzare gli IMG dei percentili inferiori. Tuttavia, questi suini, quando si passa al mangime seguente, con un rapporto di lisina:energia inferiore, sono quelli che hanno minor peso e che sicuramente non hanno consumato i kg che spettava loro, del mangime precedente. Allora stiamo sub-alimentando questi suini per una buona parte della loro vita produttiva e quindi limitando il loro potenziale genetico, già inferiore ai "fioroni" del gruppo...

La soluzione ottimale a questa problematica complessa è ampiamente diffusa nell'alimentazione di precisione, ma in realtà la tecnologia non è disponibile a livello d'allevamento commerciale, probabilmente dovuto ai costi di investimento, alla complessità ed alla solidità tecnologica. A breve ci saranno soluzioni applicabili in allevamento. Allo stesso tempo è consigliabile misurare la variabilità intra-allevamento e stimare quanti programmi alimentari sarebbero necessari per alimentare in modo dissociato i vari gruppi differenziati, "fioroni" vs "code", cercando di ideare strategie a livello di campo in modo pratico dal punto di vista logistico ed operativo.

Finisco con una conclusione provocatoria: siccome non sappiamo quanto ci costa la variabilità, tanto meno sappiamo quanto si potrebbe risparmiare se fosse possibile controllarla... Chissà, forse avremmo qualche sorpresa....!!!

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