La storia: il passato ed il presente
Sempre più spesso le conversazioni con gli allevatori terminano sulla consueta nota dolente rappresentata dalla carenza di Personale (la maiuscola non è stata utilizzata casualmente). L’esigenza di trovare operatori qualificati e appassionati per il lavoro di allevamento è un aspetto che da parecchi anni arrovella le menti dell’allevatore/imprenditore. Quando si parla di Personale mi sembra doveroso quantomeno ricordare il Professor Tarocco che da sempre ha evidenziato come il fattore umano fosse il reale pilastro dimenticato della Suinicoltura moderna. Proprio Tarocco per anni, dalle colonne delle principali riviste di settore, aveva condotto la sua personalissima battaglia per promuovere l’immagine del lavoratore di allevamento che in termine dispregiativo era chiamato “porcaro” oppure non da meno: "operaio" (ecco il perché del titolo). Oggi sfortunatamente la situazione non è molto diversa, quello che è cambiato è che si sono ridotti numericamente gli allevamenti sia per effetto del calo del numero delle scrofe, sia per la concentrazione sempre maggiore che hanno avuto gli allevamenti stessi.
La carenza di personale però sta diventando un problema vissuto a tutte le latitudini come può essere, se ci è consentita la battuta, quello dell'ipofertilità estiva. Spesso la Danimarca è stata additata come esempio per il ruolo che la suinicoltura ha avuto e continua ad avere sull’economia del Paese. Basta snocciolare pochi dati per rendersene conto: l’export di carne suina, infatti, incide per oltre il 50% sull’export di tutti i prodotti agricoli e da solo rappresenta più del 5% dell’export complessivo danese. Ebbene anche in un Paese come la Danimarca, dove l’industria suinicola ricopre un ruolo di primaria importanza ed il Governo e la popolazione hanno un atteggiamento positivo nei confronti dell’allevamento e dell’agricoltura in generale, la carenza di personale qualificato sta diventando un problema. Il lavoro in allevamento non è più percepito a livello sociale come ruolo di prestigio, cosa che invece avveniva non più tardi di 15-20 anni fa. Anche Mrs Lone Andersen presidente del Comitato per l’Istruzione Agraria, ha avuto modo di rimarcare recentemente come ci sarebbero posti disponibili per oltre 1.400 studenti che, terminata la fase di tirocinio, si trasformerebbero automaticamente in posti di lavoro.
Cambio di concezione del "porcaro" di una volta
Il “mea culpa” che si fa a tutte le latitudini è sempre quello di commiserarsi dicendo di non essere stati bravi abbastanza da illustrare quanto invece possa essere attraente la professione e come la scrofa di oggi, le strutture di oggi abbiano bisogno di più di tecnici che di "operai". Il motivo per cui nasce l’articolo è proprio quello di voler promuovere il lavoro in allevamento dove si richiede una professionalità elevata in quanto si è a contatto quotidianamente con tecnologie avanzate: sistemi di ventilazione controllati da centraline sempre più sofisticate, impianti di alimentazione sempre più complessi, macchine selezionatrici che consentono di alimentare individualmente non solo le scrofe, ma anche i soggetti all’ingrasso, apparecchi ecografici per la diagnosi di gravidanza e per la misurazione dello spessore del lardo dorsale e del muscolo... Non solo, operazioni come la rilevazione dei calori, l’atto inseminativo, l’assistenza alle scrofe al momento del parto e le cure ai suinetti neonati, la gestione delle prime fasi post-svezzamento, il carico dei suini alla fine del ciclo di ingrasso: sono tutte attività fondamentali per l’allevamento che però alle spalle richiedono un bagaglio di conoscenze che spaziano dall’anatomia alla fisiologia, dall’etologia alla zootecnia, in generale. Ovviamente oltre ad evidenziare gli aspetti positivi del lavoro e quanto esso possa essere di soddisfazione se fatto con dedizione e passione, si ritiene necessario comunque poter creare condizioni favorevoli per il lavoratore, nonché opportunità di carriera all’interno dell’azienda stessa. Chiaramente una condizione necessaria, è che l’azienda per la quale si stia lavorando, abbia dimensioni tali da poter identificare diverse figure lavorative che possano essere ricoperte dai dipendenti in seguito ad un cammino di esperienza e crescita professionale che passa anche dalla formazione.
Ancora formazione...
Nonostante il grande vuoto (produttivo) causato dalla carenza di personale qualificato, l'allevatore è ancora restio ad investire sulla formazione, sebbene il grande Josep Barcelò dicesse già che l'80% dei risultati dell'allevamento è condizionato da chi ci lavora in azienda, nonostante la mano d'opera rappresenti non più del 10- 15% del costo di produzione.
Il ricorso a veri e propri programmi di formazione aumentano l’autostima, le conoscenze e permettono ai propri dipendenti di effettuare gli step di crescita non solo in funzione dell’esperienza maturata, ma anche alla luce di nuove conoscenze. Inoltre anche l’azienda stessa potrà godere di benefici che andranno oltre al mantenimento dei dipendenti nel proprio posto di lavoro, ma che consisteranno in produzioni più elevate ed un miglioramento del benessere animale.
L’esistenza di un vero e proprio percorso di crescita chiaro e ben distinto aiuta non solo a scopo motivazionale, ma anche nel momento in cui si è alla ricerca del personale in quanto rende più attrattivo il posto di lavoro.
A questo punto i temi che si aprono ci porterebbero ben oltre quello che era il messaggio che si voleva veicolare attraverso il presente articolo: lasciatemi quindi ribadire quanto il mestiere dell’operatore di allevamento sia eccitante proprio per l’incidenza che può avere il fattore umano sul conseguimento dei risultati attraverso un’interazione più o meno proficua con l’animale...